Un minuto di raccoglimento

Propongo un minuto di raccoglimento, un silenzio vero, di quelli scolpiti nelle montagne dell’Himalaya.

Propongo un minuto di raccoglimento, senza chewing gum da masticare seguendo il ritmo della disco dance sull’iPod d’ordinanza.

Propongo un minuto di raccoglimento, senza applausi teatrali e senza fischi da comizio di La Russa.

Un minuto di raccoglimento. Sessanta secondi di profonda riflessione.

 Per chi vuole legalizzare la droga solo per pagare meno la cocaina.

Per chi è convinto di combattere la solitudine esibendo 5000 amici su Facebook.

Per chi pensa di interagire col morto battendo le mani ad un funerale.

Un minuto di raccoglimento. Sessanta secondi di profonda riflessione.

Perché non basta tirarsi su le maniche della camicia per diventare uno statista.

Perché non basta salvare l’euro se poi si perde di vista l’essere umano.

Perché non dovrebbero essere i settantenni a parlare del futuro dei nostri ragazzi.

Un minuto di raccoglimento. Sessanta secondi di profonda riflessione.

Prima dell’ultima, amarissima, constatazione.

L’Italia è un bel posto dove vivere. Se sei un delinquente.

Verrà il giorno

Verrà il giorno
che potrai affrontare le curve più insidiose della vita
anche a fari spenti
Verrà il giorno
verrà il tempo
in cui nessuno potrà più ferire i tuoi sentimenti.
La giustizia sarà più veloce di un temporale
 e conosceremo finalmente ogni verità
 anche quella che fa male.
 Verrà il giorno
 che dal cielo pioveranno milioni di uomini
 liberi e dignitosi
 verrà il giorno
 verrà il tempo
 in cui i giardini saranno finalmente rigogliosi
 Non ci sarà bisogno di nessuna rivoluzione
 per ripristinare le più elementari libertà
 e ogni valore, ogni ideale.
 Arriverà il giorno
 arriverà il tempo
 perché hai tutto il diritto di vivere in un Paese normale
 perché questo non è vivere ma vegetare
 perché i tuoi figli meritano un futuro migliore
 perché il tuo coraggio vale più di mille parole.

Blogger per sempre

Avrei tutte le carte in regola per diventare giornalista pubblicista. Ma siccome ho fatto della coerenza una ragione di vita, preferisco rimanere un semplice blogger. I motivi che mi hanno spinto a questa decisione sono – sostanzialmente – tre.

1) Mi rifiuto di iscrivermi ad un ordine professionale voluto dal fascismo. Una casta autoreferenziale ormai totalmente succube dei poteri forti di questo sconclusionato Paese. Se l’Italia è ridotta a brandelli, la colpa è anche di chi – scientificamente e consapevolmente – ha contraffatto la Verità.

2) I giornalisti liberi ed indipendenti si contano sulle dita di una mano. Mentre i giornalisti servili o in malafede sono un vero e proprio esercito.

3) Ormai i giornalisti non sono più al servizio dei lettori. Quei pochi che ancora si ostinano a seguire l’esempio di Enzo Biagi e Indro Montanelli, non fanno carriera. Anzi, sono percepiti come una minaccia e un fastidio per la nostra finta democrazia. Il motto è: meno notizie dai e più spazio avrai. Il verbo disinformare è al primo posto nella scala dei valori. Seguono a breve distanza manipolare ed occultare.

No, non potrei mai scrivere sotto dettatura: provo troppo piacere ad essere libero. Mi fermo solo davanti al codice penale e al cattivo gusto. E, per quanto mi riguarda, nessuno potrà mai decidere chi debba o non debba scrivere. La credibilità non piove dal cielo e non deriva dall’iscrizione ad un albo professionale. La credibilità bisogna guadagnarsela sul campo. E l’unico vero giudice di quello che uno scrive (e come lo scrive) è il lettore.

Quella Caressa della sera….

Togliere l’audio o mettersi i tappi nelle orecchie. Sono gli unici antidoti per difendersi dall’invadenza dei telecronisti. Sempre più enfatici, ansiogeni e faziosi. Non sopporto più il loro entusiasmo da oratorio. Non sopporto più le loro grida sconsiderate in occasione di un goal. Anche quando stanno commentando Chievo-Cesena o Albinoleffe-Frosinone. Non sopporto più la loro partigianeria quando raccontano le partite delle squadre italiane in Champions League. Se l’arbitro non concede un rigore grande come una bifamiliare al Bayern, neanche una piega. Se il direttore di gara si permette di non fischiare un penalty (magari solo presunto) al Napoli, apriti cielo. Emblematico al riguardo quanto accadde nella Champions League di due anni fa, con l’Inter di Mourinho portata in finale di peso da Mejuto Gonzales e Benquerenca, nell’ipocrita indifferenza dei commentatori. Squallore puro. Una volta, il telecronista, vecchio gentleman del microfono, ti “guidava” dolcemente dal calcio d’inizio al triplice fischio di chiusura. Con un approccio soft che, qualche volta, sfociava nella ninna nanna. Del resto, non sempre si ha la fortuna di commentare Italia-Germania 4-3. Oggi il telecronista pretende d’imporre il suo punto di vista a chi guarda, aiutato da una seconda voce quasi sempre banale e conformista. La parola d’ordine è “caricare” l’evento. Colorarlo e insaporirlo per strapparlo alle fauci della mediocrità. Una sola cosa, a pensarci bene, accomuna i telecronisti di ieri a quelli di oggi: l’incapacità di riconoscere i calciatori in possesso di palla. Perchè l’incompetenza, tipico vizio italico, aiuta a fare carriera.

La retorica del dodicesimo uomo

“Sto lavorando duro per preparare il mio prossimo errore” (Le storie del signor Keuner, Bertold Brecht) è una massima perfetta per descrivere l’opinionista calcistico italiano. Un individuo che, a poche settimane dal 2012, continua imperterrito a snocciolare il suo campionario di corbellerie e frasi fatte. Del resto, la nostra definizione di opinionista è “persona che esprime pareri su argomenti che non conosce“. Uno dei luoghi comuni più resistenti all’usura del tempo è la figura del dodicesimo uomo in campo. Presenza mitologica che “decide” letteralmente le partite sostenendo con passione e vigore la squadra di casa e riservando fischi, pernacchie e cori molesti ai calciatori avversari. Questa panzana – a forza di essere ripetuta – è ormai penetrata nel cervello delle persone. Anche nelle teste normalmente lucide e razionali. In realtà, uno stadio pieno di tifosi vocianti, incide poco o nulla. Altrimenti il Napoli avrebbe già vinto 20 scudetti. Altrimenti il Chievo giocherebbe in quarta divisione. Altrimenti il calcio sarebbe di una noia mortale. Non ci risulta che gli spettatori siano mai entrati in campo, se non per sporadiche e improvvisate invasioni. Il calcio si gioca 11 contro 11 ed il pubblico serve solo a migliorare l’aspetto coreografico delle stadio e l’atmosfera di una partita. Il resto sono baggianate. A meno che qualcuno voglia farci credere che Barcellona e Real Madrid abbiano fatto incetta di trofei grazie al supporto dei fans e non per i tanti campioni che hanno indossato quelle gloriose maglie. Mi fanno pena i calciatori che, prima di battere un corner o un calcio di punizione, si fermano a chiedere il sostegno dei tifosi. Nella migliore delle ipotesi si tratta di elementi privi di personalità e autostima. Chi sa giocare a pallone non si fa condizionare dall’ambiente. Anzi. Provate a fischiare ed insultare un Messi, un Cristiano Ronaldo o, ancora meglio, Ibrahimovic. Ed otterrete l’effetto contrario. Perchè 80 mila spettatori scatenati nel tifo, a differenza di Platini, Pelè, Maradona e Cruijff, non hanno mai cambiato la storia del calcio.

Il graffio

Ho il massimo rispetto di quei giornalisti, comici, bloggers che, con i loro scritti e le loro parole, riescono a far incazzare qualcuno. Li rispetto anche quando le loro idee non mi rappresentano. Viceversa diffido, per non dire peggio, di coloro che riescono a mettere d’accordo tutti. Maggioranza ed opposizione. Forti e deboli. Ricchi e poveri. Perché, chi usa le parole per mestiere, ha l’obbligo morale di lasciare il segno. Di graffiare. Specie in un Paese malato di conformismo come l’Italia.

Ultime parole famose

“Il cavallo resterà, l’auto è passeggera”. (Horace Rackham, avvocato di Henry Ford, 1903)

“Gli aerei non andranno mai veloci come i treni”. (William Henry Pickering, astronomo dell`Harvard College, 1908)

“I miei figli non hanno alcuna ambizione politica”. (Joseph Kennedy, padre di John e Bob, 1936)

“Lasciamo stare: con un film così non si incassa neppure un cent”. (Irving Thalberg, Direttore della Metro Goldwin Mayer a proposito di Via col Vento, 1936)

“Fidel Castro rimarrà al potere al massimo per un anno”. (Fulgencio Batista, ex dittatore di Cuba, 1959)

“La band è ottima. Ma liberatevi di quel cantante con i labbroni”. (Andrew Ildham, produttore di programmi per la BBC, dopo un`audizione dei Rolling Stones e di Mick Jagger, 1963)

“Reagan non ha la faccia da Presidente”. (Il Direttore del casting durante un provino per il film ‘The Best man’, 1964)

“E’ inutile trasmettere il concerto, perchè tanto di questi Beatles tra un mese non se ne ricorderà più nessuno!!!”. (Direzione Rai, 1965)

“I coreani? Sembrano tanti ridolini”. (Edmondo Fabbri, prima di Italia-Corea ai Mondiali di Calcio, 1966)

“L’uomo non arriverà mai sulla Luna”. (Lee De Forest, scienziato,(1967)

“Non divorzierò mai da Richard Burton”. (Elizabeth Taylor, 1974)

“Che bisogno ha una persona di tenersi un computer in casa?”. (Kenneth Olsen, Dig. Equip. (1977)

“E’ ormai chiaro che non ci sara’ in questo secolo alcuna riunificazione della Germania”. (Flora Lewis, New York Times, 1984)

“Saddam Hussein non ha alcuna intenzione di attaccare il Kuwait”. (Hosni Mubarak, Presidente dell’Egitto, luglio 1990, ad Agosto ci sarebbe stata l’invasione)

“Avro’ preso 100-200 mila, forse 1 milione di lire, ma solo per piccole spese personali”. (Calisto Tanzi, 29 dicembre 2003 su “Repubblica”)

“La Juve? Non mi interessa: ci sono squadre in cui non vuoi andare, non ti stimolano”. (Fabio Capello, febbraio 2004, assunto quache mese dopo come allenatore della Juve)

“ Riteniamo questa sentenza iniqua. Ricorreremo al Tar per avere giustizia”. (Cobolli Gigli, subito dopo la sentenza d’appello di Calciopoli, 26 Luglio 2006)

“La Juve non potrà mai retrocedere in B”. (14 milioni di tifosi juventini, sempre)

Grazie a Montezemolo, John Elkann e l’avvocato Zaccone, anche noi tifosi juventini siamo entrati nell’imperdibile elenco di quelli che passeranno alla storia per aver detto una sciocchezza sesquipedale.

Scritto il 17 Maggio 2007 – Estratto dal libro “La Juve nel Paese di Giralaruota”.

L’informazione

Per sapere cosa pensa Berlusconi bisogna leggere Il Giornale o Libero.

Per sapere cosa pensa De Benedetti bisogna leggere Repubblica.

Per sapere cosa pensano i banchieri bisogna leggere il Corriere della Sera.

Per sapere cosa pensano John Elkann e Marchionne bisogna leggere La Stampa.

Per sapere cosa pensa Moratti bisogna leggere la Gazzetta dello Sport.

Se invece desiderate solo essere informati puntualmente e correttamente, fate come me: cercate le notizie sul web.

Qualche giornalista/blogger libero e indipendente si trova ancora.

Basta cercare.

Le mille facce del potere

Il potere ha molte facce. Facce irritanti, fastidiose, nauseabonde. Facce che raccontano meglio di un Saggio di Enzo Biagi le vicende di un Paese dominato da una gerontocrazia famelica e corrotta. Il potere ha il volto invisibile del “Grande Vecchio”, l’uomo che lavora nell’ombra. E’ proprio lui – impermeabile bianco d’ordinanza, bavero rialzato – ad imbastire complotti e trame oscure. Facile immaginare un “Grande Vecchio” dietro tanti accadimenti italiani. Eventi che hanno cambiato la storia politica di una nazione ad un passo dal fallimento economico, ma già da tempo alle prese con un “default” di ordine morale. Neppure il calcio, arma di distrazione di massa, la cosa più seria tra tutte quelle frivole, poteva sfuggire alle attenzioni del “Grande Vecchio”, il ventriloquo capo che scrive i testi ai pupazzi. E’ lui a decidere il momento, il timbro della voce, il colore della cravatta. E i pupazzi, notoriamente privi di personalità e spina dorsale, si limitano ad eseguire gli ordini.

Prima Repubblica del football italiano – Regole del gioco violate per decenni nella totale indifferenza (eufemismo) dei “vigilantes”. Fino al 2006, quando va in scena la severità draconiana di Calciopoli. Contro le illegalità diffuse del sistema calcio italiano? No. Contro i due dirigenti più svelti del Far West e, come logica conseguenza, contro il club abituato a salire, senza troppa fatica, sul gradino più alto del podio. Cui prodest? Perchè la Giustizia Sportiva, da sempre indulgente e buonista (almeno con i clubs di maggior rilievo) si trasforma all’improvviso in una versione moderna della Santa Inquisizione? Chiunque si sia posto almeno una di queste domande avrà visto scivolare la lama del sospetto dentro al burro.

Il potere ha molte facce. Facce irritanti, fastidiose, nauseabonde. Facce che raccontano meglio di un film di Alberto Sordi le vicende un Paese devastato da un capitalismo senza capitali e da un giornalismo genuflesso. Il potere ha il volto pavido di Giancarlo Abete, quello che, secondo una staffetta prestabilita, doveva prendere il posto di Franco Carraro, l’uomo che sussurrava al telefono. Abete, famoso per il suo decisionismo, non prende posizione neanche in camera da letto. Di lui si ricorda solo una ficcante e autobiografica dichiarazione “Sono incompetente”.

Il potere ha il volto logoro di Gianni Petrucci, il Nico Fidenco dello sport italiano. Fissato da secoli alla poltrona grazie al noto adesivo Andreottik, dorme 39 ore al giorno. Ogni tanto si risveglia credendo di essere Livio Berruti alle Olimpiadi di Roma. La sua intervista di ieri, trasmessa da SkyTg24semprelestessenotizie, per dirla con il linguaggio di Napoletano, ha suscitato viva partecipazione. Ovviamente fra i parenti di Petrucci. Ma anche ai piani alti di Corso Galfer.

Il potere ha il volto sgradevole di Massimo Moratti, grande intenditore di calcio, come testimoniano gli acquisti di Vampeta, Sorondo e almeno altri 8643 calciatori di livello inferiore alla media. Moratti, persona notoriamente schiva, trascorre quasi tutta la giornata davanti ad una selva di microfoni. La domanda più incisiva a lui rivolta dai nostri magnifici giornalisti d’inchiesta è “Presidente, come va?”. La risposta del petroliere ecologista, dal 2006 “socio” dell’Ikea, è sempre la stessa “E’ una cosa antipatica”.

Il potere ha molte facce. Facce arroganti, sciocche, spudorate. Facce che raccontano meglio di un libro di Stefano Benni le vicende torbide di un Paese saccheggiato dalle banche e distrutto da una classe dirigente impresentabile.

Il potere ha il volto baldanzoso di John Elkann, il nipote prediletto dell’Avvocato. Mai fiducia fu così mal riposta. 109 anni per costruire un mito, 5 per distruggerlo in nome dell’ambizione e del tornaconto personale. Anche a nome di Gianni, che sicuramente si starà rivoltando nella tomba, grazie John.

Il potere ha il volto sottomesso di Andrea Agnelli, figlio di Umberto. Passivo, per non dire peggio, nel frangente più doloroso della storia juventina e poi improvvisamente “operativo” dal 2010 in poi, quando è accorso al “capezzale” del cugino. Attivismo solo di facciata, per recuperare l’entusiasmo di una tifoseria moralmente a pezzi, ma sempre malleabile e plasmabile secondo i desideri di lor signori. Una tifoseria che, settore rancorosi a parte, non ha ancora capito che can che abbaia non morde. Il tavolo politico proposto ieri a Petrucci è l’ennesima dimostrazione della mancanza di coraggio (e autonomia) di Andrea, completamente appiattito sulle posizioni del cugino. Inutile farsi illusioni, quindi: gli scudetti e la dignità non torneranno indietro. Così come la Juventus.

Consumismo? No, grazie.

Consumismo, una parola che andrebbe cancellata dal vocabolario. Negli ultimi quarant’anni noi abitanti del cosiddetto “Primo mondo” abbiamo speso troppo, in preda ad una sorta di isteria collettiva. In nome e cognome del consumismo abbiamo comprato oggetti che non ci servivano, pensando che potessero riempire il vuoto delle nostre esistenze. Per assecondare i guru della pubblicità televisiva abbiamo riempito i carrelli di cibo superfluo, alternando grandi abbuffate a diete inutili e costose. Ci siamo abbeverati alla sorgente di una moda volubile e scostante, che ci ha fatto accumulare senza motivo enormi quantità di vestiti e accessori. Ci siamo fatti stordire dal progresso, come se possedere sei telefonini, otto televisori e quattro automobili fosse indice di civiltà. Negli ultimi quarant’anni abbiamo vissuto tutti (chi più chi meno) al di sopra delle nostre possibilità. Ogni tanto, per lavarci la coscienza, ci siamo occupati distrattamente del cosiddetto “Terzo mondo”. Senza mai provare seriamente a risolvere i problemi dei Paesi sottosviluppati. E adesso ci ritroviamo a fronteggiare l’esodo di milioni di disperati, gente disposta a tutto pur di sfuggire alla fame e alla miseria. Ecco, siamo arrivati alla svolta epocale. Il modello di vita che abbiamo costruito si è rivelato fallimentare. Basta parlare di crescita, di prodotto interno lordo. Basta dar retta ai banchieri che giocano coi nostri risparmi, ai politici avidi e corrotti, agli industriali assistiti dallo Stato, ai giornalisti servili e agli economisti che non azzeccano una previsione dal 1970. E’ ora di recuperare i valori del passato: meno apparenza e più sostanza. Il mondo ha bisogno di sobrietà, equilibrio e compostezza. Dobbiamo tornare – come cantava Battiato – “a quote più normali”. Altrimenti non ci sarà alcun futuro, per noi e, soprattutto, per i nostri figli.