A proposito di immigrazione…

Anche Gianni Morandi, l’uomo più innocuo del mondo, è finito nel tritacarne dei social network. Inevitabile, se ti affacci alla finestra per dire la tua sul tema immigrazione. Questione incandescente, che divide il Paese in due schieramenti. Da un lato i fautori della solidarietà e dell’accoglienza, disposti a tollerare (con qualche distinguo) le ondate di migranti. Dalla parte opposta i sostenitori del rigore (con qualche distinguo orientato al razzismo più becero) che respingerebbero senza esitazioni i tentativi di sbarco. Al netto di queste posizioni, spicca il solito cinismo della politica, capace di cavalcare la faccenda solo per i propri scopi elettorali.

Ma torniamo agli schieramenti: chi ha ragione? Giocando con le parole, si potrebbe dire che nessuno dei due ha torto. Non hanno torto coloro che stanno dalla parte di chi attraversa il Mediterraneo per sfuggire alla fame e alla violenza dell’Isis. Provate a mettervi nei loro panni: cosa fareste in quelle misere condizioni? Non cerchereste forse una via di scampo? D’altro canto, con un Paese in caduta libera – 8 milioni di italiani sotto la soglia di povertà e 18 milioni a rischio indigenza – non ha torto neppure chi auspica un giro di vite sull’immigrazione. Provate a mettervi nei loro panni. Un sacco di gente ha perso il lavoro, tanti imprenditori hanno dovuto chiudere le proprie aziende e, inoltre, le prospettive future sono tutt’altro che rosee.

Con queste premesse, tralasciando volutamente la psicosi per la possibile infiltrazione di cellule terroristiche, la forma di autodifesa è pienamente comprensibile. Qualcuno dice: sosteniamo economicamente i loro Paesi, così non si muoveranno più. Come no. Tanto ci sarà sempre un dittatore che, dopo aver intascato gli aiuti, si dileguerà nella notte. Altri dicono: la cosa non riguarda solo l’Italia, ma tutta l’Europa. Certo che si. Ma, essendo noi i più esposti alle “intemperie” dubito fortemente che gli altri Paesi potranno mai farsi carico della questione. Come vedete, da qualunque angolazione si affronti il problema, la soluzione sembra impossibile da trovare. Per una ragione molto banale: non c’è.

E’ semplicemente il Sud del mondo che preme sul vecchio continente per raccogliere almeno le briciole cadute dalle nostre tavole. E’ il flusso incontrollabile di diseredati, alimentato da un boom demografico senza precedenti, che chiede un occasione di riscatto sociale. Il fenomeno è inarrestabile come un fiume in piena. Dividersi sull’argomento non serve a nulla. Anzi, fa solo lo sporco gioco della politica.

Le parole che vorreste dirmi

Da martedì 21 Aprile sarà disponibile “Le parole che vorreste dirmi”, storie di cani e gatti che si raccontano in prima persona. E’ un libro a cui tengo molto, perchè mi ha fatto commuovere più volte mentre lo scrivevo. Sono convinto che gli animali, troppo spesso sottovalutati, abbiano molto da insegnarci. Il libro costa 10 euro più spese di spedizione. Chi volesse ordinarlo può scrivere una mail a edizioni@luoghinteriori.com  
Il giorno 8 Maggio (data da confermare) “Le parole che vorreste dirmi” verrà presentato ufficialmente nel corso di una cena benefica. Ma di questo parleremo più avanti.

 Su Facebook ho attivato la pagina ufficiale del libro, chi vuole può iscriversi cliccando sul link sotto.

https://www.facebook.com/#!/pages/Le-parole-che-vorreste-dirmi/898408700182535

La rivincita del gregario

Hans Georg Schwartzenbeck, detto Katsche, era un difensore dai piedi di marmo. Uno dei tanti gregari che affollano la storia del calcio. Rozzo ma terribilmente efficace in marcatura, si incollava al suo uomo per 90 minuti, mollandolo solo tre giorni dopo il triplice fischio finale dell’arbitro. Katsche rappresentava una sorta d’incubo per i telecronisti stranieri, che lo detestevano cordialmente per via di quel cognome impronunciabile. I tifosi del Bayern (la squadra a cui rimarrà fedele per tutta la carriera) avevano occhi e orecchie solo per Beckenbauer, Maier, Uli Hoeness e Gerd Müller. Nessuno parlava mai di Schwartzenbeck, che rimaneva nascosto nella penombra del campo. Lui forse ci soffriva o forse no. Ma, improvvisamente, la sera del 15 Maggio 1974, Katsche ebbe il suo momento di gloria.

L’Atletico Madrid era ormai ad un amen dalla Coppa dei Campioni e l’arbitro belga Loraux stava già portando il fischietto alla bocca per chiudere le ostilità. In quel momento, per qualche oscura ragione, la palla era sui piedi di Schwartzenbeck, che avanzò fino alla tre quarti spagnola e poi fece partire un bolide improvviso. La sfera di cuoio, per motivi che sfuggono alle leggi della ragione, entrò in rete e, visto che allora in finale non erano previsti i rigori, le due squadre furono costrette ad andare al replay. Forse Katsche tirò in porta per disperazione o magari, perché, a furia di giocare con il Kaiser, la sua scarsa autostima era finalmente aumentata. Non lo sapremo mai.

Sappiamo però che, senza quella rete provvidenziale, il Bayern non avrebbe vinto quell’edizione. E chissà, magari neppure quelle successive. La vita di Schwartzenbeck, invece, non cambiò affatto, restando eternamente aggrappata alla ringhiera delle comparse. Ma, da quel giorno, telecronisti e supporters avversari impararono almeno a pronunciare il suo nome.

Tratto dal mio libro “Coppa Campioni Story”. Curcio editore

Giornalismo d’inchiesta? No, grazie.

Sono orgoglioso di aver realizzato, insieme al regista Stefano Grossi, il film documentario su Calciopoli. Fossimo in un altro Paese, sarebbe già stato trasmesso in tv. Ma siamo in Italia, la nazione che ignora il giornalismo d’inchiesta. Del resto, stiamo parlando, di un posto che ha dato i natali a gente come Bruno Vespa, Giuliano Ferrara e Fabio Fazio. Il messaggio, condiviso da tutti i media (tranne qualche rarissima eccezione) è: vietato toccare i poteri forti.