E così l’Inter ha completato il suo triplete: niente scudetto, niente Coppa Italia e niente Champions League.
I grandi propositi lasciano ora il posto a un fallimento che, ieri sera, ha assunto i contorni di una disfatta.
Mai, nella storia della Champions League, una squadra aveva perso la finale con uno scarto così ampio e senza aver mai tirato in porta.
Da sportivo non posso che essere contento. Per almeno tre motivi.
1) Il modo in cui l’Inter era arrivata a Monaco di Baviera: lato B e, soprattutto, generosi aiuti arbitrali. Privandoci di una finale stellare tra PSG e Barcellona.
2) L’insopportabile superiorità morale di un club che, da anni, fornisce lezioni di onestà ai rivali nonostante abbia nell’armadio più scheletri che tute e magliette.
3) Per il fastidioso cicaleccio dei media, militarmente schierati da settimane al fianco dei nerazzurri, con Sky e Gazzetta in prima fila a guidare il carro della retorica. Particolarmente attivi Caressa e Bergomi, i due massimi cantori dell’interismo senza limitismo, ieri sera “stranamente” dimessi.
Adesso, come ampiamente previsto, tutti compatti a elogiare la stagione dell’Inter, “che rimane splendida nonostante gli zeru tituli”. Come se il massacro calcistico di ieri sera fosse acqua fresca e non una fragorosa caduta.
Infine due parole sul PSG, che, dopo investimenti miliardari, bruciati puntualmente sul campo, ha vinto solo perché Luis Enrique, grande allenatore e bella persona, ha capito che il tanto osannato Mbappè era un intralcio e non un vantaggio.
Infatti, con il trasferimento dell’attaccante che non conosce il gioco di squadra, i parigini hanno cambiato volto, acquisendo una solidità invidiabile.
La parabola di Mbappè: è andato al Real Madrid per vincere la Champions e oggi, anche lui a zeru tituli stagionali, osserva gli ex compagni festeggiare.
Come dice sempre l’uomo che staziona oltre l’area tecnica, “spiaze”.