Le pagelle del 2020…

contesalviniG. Conte – Da prestanome di un governo monopolizzato da Salvini, a dittatore dello Stato poco libero di Bananas Casalinos, il passo è stato breve. Sbucato fuori dal nulla, come un Boletus Satanas (fungo velenoso), si è servito del Covid per prendersi pieni poteri grazie ai famigerati DPCM, acronimo di Dovete Puzzare Come Merde. Passerà alla storia come l’uomo che ha distrutto l’economia italiana. Però con la pochette. Vuoi mettere l’eleganza mentre la gente muore di fame? Voto: -70. Come i gradi del vaccino Pfizer.

Arcuri – Forte del proverbio Arcuri non si comanda, si è messo a comandare lui. Si occupa di tutto: mascherine, siringhe, vaccini, banchi di scuola, libri di Bruno Vespa e deodoranti per le ascelle di Zingaretti. Sempre con risultati da retrocessione. Famoso per le conferenze stampa dove accetta solo domande in carta bollata, tra un po’ condurrà anche le previsioni del tempo e l’almanacco del giorno dopo. Voto: 71. Che, nella smorfia, rappresenta la persona malvagia. Anche se i napoletani usano un sinonimo dialettale più efficace.

Di Maio – Doveva aprire il parlamento come una scatoletta di tonno, invece si è buttato sul piatto delle ostriche alla ricerca di perle. Ora, provate a immaginare un pirla che cerca le perle: non è un’immagine sgradevole?  Ah, dimenticavo: doveva anche sconfiggere la povertà. Invece ha sconfitto solo la sua, quella dei suoi parenti e degli amici del liceo. Praticamente l’intera popolazione di Pomigliano d’Arco. A Natale, invece di riunirsi con i congiunti, avrebbe dovuto riunirsi con i congiuntivi. Voto: e chi lo vota più?

Italiano medio – Rincoglionito da anni di tv spazzatura e da un giornalismo che fa più danni della grandine, accetta passivamente tutto e il contrario di tutto. Gli dicono di stare in casa e lui sta in casa. Gli dicono di rientrare entro le 22 e lui rientra entro le 22. Gli dicono di dare una martellata al vicino che non indossa la mascherina e lui dà una martellata al vicino che non indossa la mascherina. Gli dicono di andare a fanculo e lui se ne va tranquillamente a fanculo. Perché le regole, anche quelle palesemente demenziali, si rispettano. Perché se l’ha detto Conte, bisogna fare come dice Conte. Voto: 90. Come la paura di vivere per paura di morire.

A me stesso – Per motivi che sfuggono alla logica, sono riuscito a sopravvivere 62 anni in questo Paese senza giustizia, verità e meritocrazia. E’ umiliante vedersi sorpassare ogni giorno da raccomandati, leccaculo, scagnozzi e idioti scambiati per geni. Ma ancora più umiliante è partecipare a questo gioco truccato, sperando invano che l’arbitro ti fischi almeno una punizione a favore. Voto: 10 per lo spirito di sopportazione, 4 per aver votato i 5 Stelle come ultima speranza, 0 per non essermi trasferito in Svezia.

Se avrò voglia continuerò con altre pagelle nei prossimi giorni. Seguitemi su Virologipercaso.com

Gli anni di Paolo Rossi…

pablitoNon capita tutti i giorni – eufemismo – di segnare una tripletta al Brasile. Non capita tutti i giorni – eufemismo – di diventare il simbolo della Nazionale più amata di sempre. Una squadra composta da grandi calciatori e, soprattutto, grandi uomini. Una Nazionale pilotata al successo, contro ogni pronostico, da una persona meravigliosa come Enzo Bearzot. L’unico a credere in lui, Paolo Rossi, reduce dallo scandalo del calcio scommesse, fino al punto di aggregarlo alla spedizione spagnola nonostante l’ostracismo dei media. Non solo convocato, ma anche difeso a spada tratta dopo le deludenti prestazioni del girone eliminatorio. Una fiducia che Pablito ha saputo ricambiare, firmando le sei reti che hanno garantito agli azzurri il terzo titolo mondiale. Era l’Italia di Pertini, il miglior presidente della storia della Repubblica e un gigante della politica. Un uomo che non rimpiangeremo mai abbastanza. Erano gli anni ottanta, baby. Gli anni di Paolo Rossi, il centravanti per antonomasia, che segnava con la stessa naturalezza con cui respirava. Paolo Rossi, il ragazzo della porta accanto e il campione semplice e silenzioso. Paolo Rossi, figlio di un tempo più leggero e viso che rimarrà per sempre impresso nei vasti corridoi della memoria. Erano gli anni ottanta, baby. Gli anni di Paolo Rossi. Anni lievi ma felici, come le sue esultanze. No, Pablito non è morto. E’ solo andato negli spogliatoi per l’intervallo.